Concordo con Riccardo circa l’effetto che la particolare architettura e la dimensione della Farnesina puo’ avere avuto (ed ha) sull’atmofera della Casa.
Il Ministero degli Esteri italiano nel corso della storia unitaria del Paese e’ stato finora ospitato prima (1871-1922) nel Palazzo della Consulta.
Il Ministero migro’ poi a Palazzo Chigi tra il 1923 ed il 1959. Infine alla Farnesina dal 1959 ad oggi.
Esiste un prezioso libro del collega Ugo Colombo Sacco che riassume questi passaggi ed e’ corredato di una bellissima documentazione fotografica sui palazzi storici che hanno ospitato il Ministero degli Esteri.
Il libro si sofferma anche sulle cancellerie pre-unitarie del Palazzo delle Segreterie a Torino e di Palazzo Vecchio a Firenze.
In effetti leggendo la memorialistica diplomatica del periodo Palazzo Chigi, come nota Riccardo, si intuisce in che misura gli spazi più a misura d’uomo e piu’ contenuti, influenzassero ritmi di lavoro e rapporti interpersonali, oltre che professionali, tra i diplomatici italiani.
Al riguardo segnalo la lettura delle memorie di un grande diplomatico italiano, Roberto Ducci, “La bella gioventu’” .
Anche il diario di Ciano e’ una testimonianza in questo senso.
A quel tempo i rapporti interpersonali erano anche cementati a Roma dalla frequentazione del Circolo degli Affari Esteri di cui Galeazzo Ciano fu il primo Presidente.
Il Circolo sorge adesso sul Lungotevere dell’Acqua Acetosa e svolge ancora oggi con successo questa funzione.
Non sono un esperto di architettura ma le impressioni che si ricava dalla visita di Palazzo Chigi e da quella della Farnesina sono evidentemente molto diverse.
Alla “freddezza” della Farnesina contribuiscono lo stile razionalista tipico del Ventennio e l’uso dei materiali (marmo e travertino).
In tempi recenti segnalo una iniziativa che ha a mio avviso con successo contribuito a rendere piu’ “calda” la Farnesina.
Mi riferisco alla installazione di una collezione di arte contemporanea italiana promossa dall’ex Segretario Generale Ambasciatore Umberto Vattani .
La collezione e’ visitabile dal pubblico, in particolare in quelle occasioni in cui la Farnesina si apre apposta ai visitatori per far conoscere il suo patrimonio architettonico ed artistico.
Vi invito a visitarla anche per avere un’occasione di vedere dal di dentro quello che potrebbe essere un giorno il vostro posto di lavoro.
E’ peraltro una iniziativa unica nel suo genere che impressiona i visitatori stranieri che frequentano quotidianamente il palazzo.
E’ inoltre anche uno strumento di diplomazia culturale perche’ la collezione viaggia da qualche tempo con successo all’estero.
Osserverei infine due aspetti. Il primo riguarda una certa “eccentricita’ (nel senso di lontananza dal centro) della Farnesina rispetto agli altri palazzi del potere romano.
Cio’ contribuisce ad una certa separatezza psicologica del Dicastero accentuandone la sua “specialita’” .
Il secondo aspetto – paradossale – e’ che seppure sia ospitata in un palazzo dalle dimensioni cosi’ grandi, l’Amministrazione degli Affari Esteri stenta a contenersi nel palazzo della Farnesina.
Essa tracima nelle adiacenze del Foro Italico, in particolare con uffici distaccati dalla cooperazione allo sviluppo.
Non e’ infrequente che il personale negli uffici debba collaborare fin troppo “strettamente” coesistendo in spazi angusti.
Non credo sia solo una questione di ingigantimento numerico del personale amministrativo come dice Riccardo.
La Farnesina e’ infatti un Ministero agile rispetto ad altri e ancora sottostaffato rispetto alle sue obiettive esigenze e compiti.
Forse una delle ragioni dell’attuale “ristrettezza” e’ che l’edificio ospita anche uffici di altre amministrazioni dello Stato.
Cio’ per ragioni funzionali. Questi uffici svolgono compiti strettamente connessi agli affari esteri.
Concludo dicendo che, malgrado la sua bellezza artistica e la sua storia piu' antica, anche Palazzo Chigi mostra limiti strutturali nell'accomodare le esigenze logistiche della Presidenza del Consiglio, con una conseguente ed analoga "tracimazione" in edifici circostanti.
Cio' e' legato alla crescita del ruolo e delle funzioni di questa istituzione negli anni recenti.
11 marzo 2008
Obiettivi e valutazione dei funzionari (2)
Riccardo mi chiede dell’incidenza di parametri “politici” sull’individuazione degli obiettivi annuali ai fini della valutazione del funzionario.
Non sono sicuro di aver capito bene il senso della domanda.
Immagino che egli intenda il “politico” nel senso di rispondenza agli indirizzi ed alle finalita’ strategiche dell’azione diplomatica del Paese cosi' come essi vengono definiti dalla dirigenza del Ministero degli Esteri (il Ministro cioe').
In tale accezione direi sicuramente di si’.
Sicuramente l'incidenza di questi parametri politici e’ proporzionale alle responsabilita’ ed al grado della Carriera.
Certamente il lavoro di un giovane Segretario di Legazione ha meno implicazioni politiche di quello di un Ministro Plenipotenziario o di un Ambasciatore.
Nel caso dei gradi intermedi della Carriera l'individuazione e la definizione degli obiettivi e' effettuata, nell'ambito delle varie Direzioni Generali e Servizi, all'interno stesso degli Uffici.
Nel corso del servizio all'estero gli obiettivi sono dati dal Capo Missione.
Nel caso degli Ambasciatori, al momento della partenza per la sede estera, viene loro rimessa una lettera firmata dal Ministro degli Esteri che dettaglia gli indirizzi di fondo della sua missione ed i temi prioritari della sua azione.
Come e' ovvio, tali istruzioni scritte vengono integrate nei contatti (diretti, epistolari, telefonici, ecc.) che il Ministro ha con gli Ambasciatori.
L'intensita' di tale flusso supplementare di istruzioni e' direttamente proporzionale alla frequenza delle occasioni di incontro e alla rilevanza delle questioni e degli interessi in gioco per l'Italia.
E' ovvio che il Ministro si veda e/o si senta piu' spesso con l'Ambasciatore d'Italia a Washington, che con quello a Wellington.
Per fare un altro esempio, l'azione diplomatica a Bruxelles (UE) o a New York (Nazioni Unite) richiede un fine tuning costante tra funzionari (i c.d. Rappresentanti Permanenti) e dirigenza politica.
Infine, oltre all'indirizzo politico che gli Ambasciatori ricevono dal Ministro degli Esteri esiste quello che essi ricevono da Vice Ministri e Sottosegretari che agiscono nell'ambito di una delega (geografica e/o per materia).
L'affiliazione partitica di tali personalita' non sempre coincide con quella del Ministro degli Esteri.
Possibili "distonie" non vanno comunque enfatizzate.
La macchina amministrativa sa infatti di far capo alla Farnesina ad un unico e superiore centro di responsabilita' politica: il Ministro (anzi, come si dice e scrive nel linguaggio del palazzo, l'Onorevole Ministro).
Non sono sicuro di aver capito bene il senso della domanda.
Immagino che egli intenda il “politico” nel senso di rispondenza agli indirizzi ed alle finalita’ strategiche dell’azione diplomatica del Paese cosi' come essi vengono definiti dalla dirigenza del Ministero degli Esteri (il Ministro cioe').
In tale accezione direi sicuramente di si’.
Sicuramente l'incidenza di questi parametri politici e’ proporzionale alle responsabilita’ ed al grado della Carriera.
Certamente il lavoro di un giovane Segretario di Legazione ha meno implicazioni politiche di quello di un Ministro Plenipotenziario o di un Ambasciatore.
Nel caso dei gradi intermedi della Carriera l'individuazione e la definizione degli obiettivi e' effettuata, nell'ambito delle varie Direzioni Generali e Servizi, all'interno stesso degli Uffici.
Nel corso del servizio all'estero gli obiettivi sono dati dal Capo Missione.
Nel caso degli Ambasciatori, al momento della partenza per la sede estera, viene loro rimessa una lettera firmata dal Ministro degli Esteri che dettaglia gli indirizzi di fondo della sua missione ed i temi prioritari della sua azione.
Come e' ovvio, tali istruzioni scritte vengono integrate nei contatti (diretti, epistolari, telefonici, ecc.) che il Ministro ha con gli Ambasciatori.
L'intensita' di tale flusso supplementare di istruzioni e' direttamente proporzionale alla frequenza delle occasioni di incontro e alla rilevanza delle questioni e degli interessi in gioco per l'Italia.
E' ovvio che il Ministro si veda e/o si senta piu' spesso con l'Ambasciatore d'Italia a Washington, che con quello a Wellington.
Per fare un altro esempio, l'azione diplomatica a Bruxelles (UE) o a New York (Nazioni Unite) richiede un fine tuning costante tra funzionari (i c.d. Rappresentanti Permanenti) e dirigenza politica.
Infine, oltre all'indirizzo politico che gli Ambasciatori ricevono dal Ministro degli Esteri esiste quello che essi ricevono da Vice Ministri e Sottosegretari che agiscono nell'ambito di una delega (geografica e/o per materia).
L'affiliazione partitica di tali personalita' non sempre coincide con quella del Ministro degli Esteri.
Possibili "distonie" non vanno comunque enfatizzate.
La macchina amministrativa sa infatti di far capo alla Farnesina ad un unico e superiore centro di responsabilita' politica: il Ministro (anzi, come si dice e scrive nel linguaggio del palazzo, l'Onorevole Ministro).
10 marzo 2008
Bando del prossimo concorso diplomatico
Ho fatto una verifica al MAE in risposta alla curiosita' che alcuni di voi mi hanno espresso per email circa la data della pubblicazione del prossimo bando di concorso.
Una fonte autorevole mi assicura che il bando e' imminente.
Si parla di fine marzo - inizio aprile 2008.
Una fonte autorevole mi assicura che il bando e' imminente.
Si parla di fine marzo - inizio aprile 2008.
8 marzo 2008
Formazione del diplomatico: le lingue straniere
Altre risposte ai vostri graditi commenti.
A Silvia.
Non saro’ certo io a scoraggiare il tuo lodevole desiderio di studiare lingue straniere di difficile apprendimento.
Anzi, caldeggio vivamente tale investimento.
A Silvia.
Non saro’ certo io a scoraggiare il tuo lodevole desiderio di studiare lingue straniere di difficile apprendimento.
Anzi, caldeggio vivamente tale investimento.
Certamente non guasterebbero piu' esperti di giapponese e farsi.
Ricordo che, entrato da poco in Carriera, un collega anziano fece un'osservazione che mi lascio' di stucco.
A suo dire il diplomatico non e' un portiere d'albergo che, dovendo interagire con tanti individui di nazionalita' diversa, si esprime in maniera rozza e funzionale in molte lingue.
Secondo lui le due uniche lingue che servivano nell'esercizio della funzione diplomatica erano inglese e francese. "Con quelle vai dappertutto", fu la conclusione lapidaria.
Si tratta di un approccio non condivisibile.
Quel che ho notato, prestando servizio in paesi la cui lingua e' di difficile apprendimento, e' che la tua credibilita' complessiva aumenta immensamente se solo riesci ad esprimerti, anche nella maniera rozza e funzionale di un portiere d'albergo.
I tuoi interlocutori locali apprezzano lo sforzo che fai perche' dimostra genuino interesse ed empatia nei confronti del loro paese e della loro cultura.
Cio' vale non solo nei riguardi dei tuoi interlocutori locali ma anche dei connazionali che vivono e lavorano nel paese da anni e che per questa ragione ne conoscono meglio la lingua.
Ho avuto talvolta la sensazione che questi considerino il diplomatico giunto in sede un superficiale cui spiegare con atteggiamento condiscendente "come questo paese funziona".
Ho sempre trovato questo atteggiamento irritante.
Ma succede e tanto piu' sovente quanto il funzionario e' giovane e magari in prima uscita estera.
Tale atteggiamento di superiorita' non sussiste se, al contrario, il tuo background dimostra solidita' anche linguistica e quella coerenza che deriva magari da una frequentazione culturale e di vita pluriennale di una determinata area geografica.
Un consiglio pero’. Se si vuole affrontare una lingua di difficile apprendimento in funzione della carriera diplomatica, allora, occorre ragionare nella maniera pratica cui e' costretta l' Amministrazione allorche' decide l'allocazione delle risorse.
Faccio degli esempi per spiegarmi.
La Farnesina non e' il Dipartimento di Stato o il Waijiobu (il Ministero degli esteri cinesi).
Il pool di funzionari e' necessariamente piu' ristretto ed il numero degli incarichi piu' limitato.
Una conseguenza e' che la Casa non riesce a dedicare con continuita' nel tempo funzionari allo studio sistematico ed approfondito di una lingua straniera di difficile apprendimento.
I cinesi prendono un giovane a 18-20 anni e gli dicono di imparare l'italiano.
Bene, per quel giovane l'Italia diventa la sua ragione professionale ed anche una sorta di gabbia. La sua carriera si svolgera' quasi esclusivamente sul binario Pechino-Roma.
Non e' dunque un caso che con l'eccezione del Capo Missione (la cui nomina puo' avvenire in base ad altre considerazioni) i gradi intermedi dell'ambasciata cinese in Italia parlino generalmente un ottimo italiano. Lo conoscono meglio dell' inglese.
Nel caso degli Stati Uniti, oltre a lusso della specializzazione, si aggiunge il vantaggio competitivo offerto dalla natura intrinseca del melting pot americano.
Questo consente di reclutare personale naturalmente bilingue e che dunque conosce lingue di difficile apprendimento in virtu' della propria specificita' culturale e dell'ambiente familiare.
A questo vantaggio si aggiungono una assai maggiore disponibilita' di opportunita' di formazione linguistica e di posizioni nelle sedi estere.
Ecco dunque che si spiega come sia piu' facile per la diplomazia americana poter contare su funzionari che si esprimono fluentemente in lingue di difficile apprendimento.
Cio' nonostante anche gli americani hanno i loro problemi. Dopo il 2001 si sono ad esempio resi conto di non avere un sufficiente numero di arabisti o di esperti di farsi, pashtu e urdu dei quali c'era e c'e' ancora un urgente ed inevaso bisogno.
Tenuto conto dei limiti strutturali cui ho accennato, si spiega come oggi la Farnesina cerchi di assumere giovani che, gia' al momento del concorso, conoscano una lingua di difficile apprendimento.
Sicuramente questo e' un vantaggio per il candidato.
E la Farnesina acquista cosi' il prodotto gia' finito, "chiavi in mano" e non dovra' formarlo successivamente spendendo risorse proprie.
Tale modalita' di reclutamento e' funzionale ad una conventional wisdom che e' per una parte generalizzata e per un'altra invece caratteristica della Farnesina.
E' generalizzata in quanto sottende l' opinione diffusa e' che le lingue straniere si possano imparare solo da giovani, meglio da giovanissimi.
Dissento. Sicuramente non si acquisira' la competenza di un madre lingua ma acquisire una working knowledge anche di una lingua di difficile apprendimento e' sempre possibile purche' si studi con impegno e continuita'.
Il problema della condizione attuale e' che gli impegni di lavoro a Roma e all'estero sono talmente pressanti che e' difficile dedicarsi con la necessaria continuita' e concentrazione allo studio linguistico.
Quando preparai il concorso qualcuno mi disse che comunque la Carriera mi avrebbe dato la possibilita' di imparare le lingue anche dopo l'assunzione nel corso del servizio.
Cio' e' vero solo in parte. La mia esperienza (che descrivo piu' avanti nel post) mi ha provato che e' possibile - con impegno e autodisciplina - affinare la conoscenza di base di lingue europee e sviluppare una working knowledge di lingue di difficile apprendimento.
L'ideale sarebbe prendersi un time out dal servizio (un sabbatico ad esempio) e dedicarsi allo studio ma non e' frequente che l'Amministrazione lo consenta.
Cio' non per irragionevolezza ma per obiettiva necessita'. I ranghi della Carriera sono infatti sottostaffati e la Farnesina ha un bisogno disperato di risorse, ai loro posti negli uffici.
Distaccare funzionari allo studio di lingue straniere e' un lusso che difficilmente la Farnesina puo' permettersi.
Puo' forse permetterselo il Foreign Office che, come testimonia la giovane Sarah Russel, l'ha assunta forte della conoscenza del solo inglese (il mio collega direbbe "te l'avevo detto che con quello vai dappertutto").
Ma il FO lo puo' fare perche' riesce successivamente a distaccare i funzionari dal servizio attivo e dedicarli all'apprendimento metodico delle lingue (anzi cio' viene considerato parte integrante del servizio).
Cio' detto, Silvia, nel menu di opzioni linguistiche che mi hai presentato mi sentirei di escludere l’ebraico.
Rispetto ad altri candidati ti darebbe certamente un vantaggio competitivo (quasi nessuno lo conosce).
Naturalmente se desideri studiare l’ebraico a priori per via di un tuo interesse particolare allora non esitare.
Il ragionamento e’ diverso ma non troppo per quello che rigurda il farsi. Utile, utilissimo ma soprattutto in Iran, in Azerbaijan ed in certe parti dell’Afghanistan.
Con l’arabo invece (nonostante le varieta’ dei numerosi dialetti) diventi un asset per l’amministrazione e sei spendibile e competitiva per un folto numero di sedi.
Con il cinese (mandarino) mi dirai vai solo in Cina.
Si’, certo, ma stiamo parlando di un paese di un miliardo e trecento milioni di persone che ha/avra’ un peso sempre piu’ importante nel mondo.
Il russo e’ un caso a se’. Oltre ad essere la lingua parlata di un paese dalle dimensioni continentali e di rilevanza strategica per l’Italia, costituisce la lingua franca del vasto spazio ex sovietico. Go for it se vuoi.
Cio’ premesso Silvia, rifletti su questo.
Non so quanti anni hai.
Ma se hai intenzione di tentare il concorso diplomatico, fanne un obiettivo fin dal conseguimento della tua laurea in Scienze Diplomatiche.
Il mio consiglio e’: se ti piacciono le lingue, studiale intensamente per conto tuo.
Studiale adesso. E soprattutto certificane la conoscenza.
Al momento del concorso puoi allegare i certificati come titoli.
Puoi chiedere di sostenere una prova supplementare in arabo anche se non hai la laurea in lingue.
Se lo sai, avrai punti in piu’ rispetto agli altri candidati.
Se puo’ esserti utile la mia esperienza, al concorso portai solo inglese e francese, nonostante masticassi gia’ abbastanza bene spagnolo e tedesco.
Negli anni ho continuato lo studio di queste due ultime lingue e del russo riuscendo a certificarle al livello intermedio (Goethe, Cervantes,TORFL).
Tali certificazioni mi sono particolarmente servite nella progressione di carriera (anche se non ho ancora avuto modo di utilizzarle nelle sedi di servizio).
Cio’ non solo perche mi hanno dato punteggio supplementare in occasione delle promozioni ma anche perche’ ho provato all'Amministrazione quell’impegno alla formazione permanente che, come ho gia’ scritto in un post, costituisce una condizione essenziale del diplomatico moderno.
7 marzo 2008
Il futuro di questo blog

Un breve punto d'ordine.
Innanzitutto vi ringrazio davvero per le numerose manifestazioni di apprezzamento che mi avete rivolto.
Sono lieto che troviate il blog utile.
Intendo offrire una risposta a tutti i commenti che sono finora pervenuti sul sito e per email.
Vi chiedo solo un po' di pazienza perche' l'esercizio della scrittura compete con impegni professionali e familiari in questo periodo particolarmente pressanti.
Vi sarei grato se, anziche' scrivermi privatamente per email, poteste invece lasciare i vostri commenti nell'area pubblica del blog.
Intendo infatti sviluppare il blog fino a quando avro' qualcosa di utile da dirvi.
Per questo i vostri commenti sono preziosi, perche' mi suggeriscono argomenti che so essere di vostro immediato interesse.
Se esauriremo i temi di discussione o se mi risultera' impossibile continuare a postare, il blog restera' comunque a disposizione come risorsa di consultazione libera e gratuita in rete.
E' dunque importante che il vostro contributo resti on record e consultabile esattamente come i miei post.
Mi auguro comunque che il giorno dell'ultimo post sia lontano.
Trovo questa nostra conversazione stimolante non solo per la prospettiva che mi offrite, ma anche perche' mi permette di esplorare modalita' e potenzialita' di uno strumento di comunicazione come il blog.
Sara' certamente valsa la pena di scrivere il blog se il suo contenuto potra' contribuire almeno in parte a centrare il vostro obiettivo di entrare in diplomazia.
Il mio augurio e' che il maggior numero possibile di voi riesca a realizzare il proprio sogno.
Mi fara' piacere quel giorno continuare - da collega a collega - il rapporto che abbiamo in questi mesi instaurato in questo foro.
Innanzitutto vi ringrazio davvero per le numerose manifestazioni di apprezzamento che mi avete rivolto.
Sono lieto che troviate il blog utile.
Intendo offrire una risposta a tutti i commenti che sono finora pervenuti sul sito e per email.
Vi chiedo solo un po' di pazienza perche' l'esercizio della scrittura compete con impegni professionali e familiari in questo periodo particolarmente pressanti.
Vi sarei grato se, anziche' scrivermi privatamente per email, poteste invece lasciare i vostri commenti nell'area pubblica del blog.
Intendo infatti sviluppare il blog fino a quando avro' qualcosa di utile da dirvi.
Per questo i vostri commenti sono preziosi, perche' mi suggeriscono argomenti che so essere di vostro immediato interesse.
Se esauriremo i temi di discussione o se mi risultera' impossibile continuare a postare, il blog restera' comunque a disposizione come risorsa di consultazione libera e gratuita in rete.
E' dunque importante che il vostro contributo resti on record e consultabile esattamente come i miei post.
Mi auguro comunque che il giorno dell'ultimo post sia lontano.
Trovo questa nostra conversazione stimolante non solo per la prospettiva che mi offrite, ma anche perche' mi permette di esplorare modalita' e potenzialita' di uno strumento di comunicazione come il blog.
Sara' certamente valsa la pena di scrivere il blog se il suo contenuto potra' contribuire almeno in parte a centrare il vostro obiettivo di entrare in diplomazia.
Il mio augurio e' che il maggior numero possibile di voi riesca a realizzare il proprio sogno.
Mi fara' piacere quel giorno continuare - da collega a collega - il rapporto che abbiamo in questi mesi instaurato in questo foro.
6 marzo 2008
Show me the money (2)

Rispondo ad altri vostri commenti.
Materixs (nome riferito al Grande Neroazzurro?) mi chiede quanto guadagna un diplomatico. Anche Ale fa riferimento all’insoddisfazione delle giovani leve per il trattamento economico sfavorevole rispetto a quello del settore privato.
Nel rimandare entrambi ad un mio precedente post, in linea di massima, a Roma un SegLeg fresco di ingresso in carriera guadagna circa 2000 euro mensili, un ConsLeg circa 3000 euro, un ConsAmb circa 4000, ecc.
All’estero la musica cambia in meglio grazie all’ISE (indennita' di servizio estero).
Non sono in grado di dare un quadro certo ma credo che un giovane funzionario in prima uscita in una sede disagiata o particolarmente disagiata non guadagni meno di 10.000 euro mensili.
Simpatizzo con le ragioni dei giovani funzionari.
La situazione economica del diplomatico non migliora necessariamente negli anni quando arrivano i figli e le consorti devono scendere – talvolta anche dolorosamente – a patti con la consapevolezza di dover sacrificare le proprie aspirazioni professionali.
Una famiglia monoreddito,come e’ spesso quella del diplomatico, non ha di che scialacquare.
Tuttavia, ho qualche reticenza a condividere in toto la doleance in questione.
In primo luogo certi paragoni mi sembrano azzardati.
Regola per un paragone corretto e’: le mele con le mele e le pere con le pere.
Nel settore privato con chi confrontare la posizione economica di un Segretario di Legazione?
Ritorna la questione della "specialita' " della funzione diplomatica.
Anziche' con il settore privato, ha forse piu’ senso rapportarsi, nell’ambito della P.A., con un giovane neo-magistrato (credo si chiamino uditori giudiziari).
Da un punto di vista “filosofico”, parto da una premessa contro-corrente.
Nel momento in cui si sceglie una carriera impiegatizia bisogna essere consapevoli di aver accettato la situazione caratterizzata in economia come quella del c.d “earned income” (in italiano diremmo il reddito del lavoratore dipendente).
L’earned income e' sottoposto a tassazione maggiore rispetto al reddito da portafoglio (azioni, titoli, ecc.) o al reddito passivo (quello derivante dalla rendita immobiliare, dal diritto d’autore, ecc.) .
Chi guadagna earned income e si confronta con altre categorie di percettori di reddito restera’ sempre scontento. La tassazione e' ineluttabile avvenendo la trattenuta a monte e non a valle, e generalmente piu' alta.
Il reddito corrispondente all’impiego e’ anche certamente finito, nel senso che non aumenta oltre un certo limite pur a fronte dell’aumento delle ore lavorate.
Solo per l’imprenditore o ancora di piu’ per l’investitore professionale, “the sky is the limit” . Il reddito e’ infatti per questi potenzialmente infinito.
A tale vantaggio corrisponde pero’ un’alea ben piu’ grande di quella del lavoratore dipendente.
La scelta impiegatizia implica dunque un trade-off: sicurezza del lavoro/finitezza del reddito.
In tempi di precariato dilagante una carriera nella pubblica amministrazione costituisce una sorta di specie in via di estinzione: il posto sicuro.
In Italia tanti giovani sono precari e non sono necessariamente sotto qualificati dal punto di vista accademico rispetto ad un giovane diplomatico.
E in certi casi sono pagati assai meno di 2.000 euro mensili.
Se si trova insostenibile tale situazione allora e’ il caso di tirarne le conseguenze ed intraprendere altre strade economicamente piu’ vantaggiose.
4 marzo 2008
Il Diplomatico: Generalista? Specialista? No, "Versatilista".
Grazie per i commenti ricevuti sia sul sito che per email. Provero’ a rispondere a tutti.
In questo post affronto la domanda di Ale.
Con la preparazione al concorso, ed in generale con la carriera diplomatica, si accumula un capitale di conoscenza ed esperienza trasferibile (e possibilmente monetizzabile) in altri ambiti professionali, in particolare nel settore privato?
Mi sembra una domanda ragionevole.
Se investo tanto nel concorso e magari non lo supero, posso almeno consolarmi con la consapevolezza che mi sono comunque adeguatamente preparato per cogliere altre opportunita’ professionali.
La domanda presuppone anche l'eventualita' - in particolare per quanti abbiano gia' superato il concorso - di un cambio di cavallo in corsa.
Cio' riflette un approccio mentale oggi sempre piu' diffuso, e cioe' quello di tenersi tutte le opzioni aperte evitando di "fidelizzarsi" ad un unico percorso professionale.
Non mi e’ facile rispondere al quesito. In primo luogo perche’ non ho elementi di personale riscontro.
Soltanto nel caso in cui decidessi di cambiare lavoro potrei direttamente misurare sul mercato del lavoro frequenza e volume della domanda per le mie qualita’ professionali.
Posso, comunque, cercare di dare una prima risposta partendo dall’irrisolto dilemma circa la natura del diplomatico e da qui cercare di accertare se esista una domanda nel mercato del lavoro per una figura professionale dalle caratteristiche sui generis.
Il diplomatico e' un generalista? E’ uno specialista? Ne' l'uno, ne' l'altro. Seguitemi in un ragionamento.
Esiste innanzi tutto una duplice prospettiva, una interna, un'altra esterna alla professione.
In questo post affronto la domanda di Ale.
Con la preparazione al concorso, ed in generale con la carriera diplomatica, si accumula un capitale di conoscenza ed esperienza trasferibile (e possibilmente monetizzabile) in altri ambiti professionali, in particolare nel settore privato?
Mi sembra una domanda ragionevole.
Se investo tanto nel concorso e magari non lo supero, posso almeno consolarmi con la consapevolezza che mi sono comunque adeguatamente preparato per cogliere altre opportunita’ professionali.
La domanda presuppone anche l'eventualita' - in particolare per quanti abbiano gia' superato il concorso - di un cambio di cavallo in corsa.
Cio' riflette un approccio mentale oggi sempre piu' diffuso, e cioe' quello di tenersi tutte le opzioni aperte evitando di "fidelizzarsi" ad un unico percorso professionale.
Non mi e’ facile rispondere al quesito. In primo luogo perche’ non ho elementi di personale riscontro.
Soltanto nel caso in cui decidessi di cambiare lavoro potrei direttamente misurare sul mercato del lavoro frequenza e volume della domanda per le mie qualita’ professionali.
Posso, comunque, cercare di dare una prima risposta partendo dall’irrisolto dilemma circa la natura del diplomatico e da qui cercare di accertare se esista una domanda nel mercato del lavoro per una figura professionale dalle caratteristiche sui generis.
Il diplomatico e' un generalista? E’ uno specialista? Ne' l'uno, ne' l'altro. Seguitemi in un ragionamento.
Esiste innanzi tutto una duplice prospettiva, una interna, un'altra esterna alla professione.
La specialita’ del diplomatico appare spendibile in altri ambiti professionali.
Alcuni di questi ambiti costituiscono delle evoluzioni, delle transizioni naturali dalla professione diplomatica.
Cio’ perche’ esiste una continuita’ nella materia oggetto della professione.
Cambia pero’ la prospettiva.
Ad esempio, il giornalismo e’ certamente uno sbocco. Per citare il caso forse piu' famoso, basti pensare all’Ambasciatore Sergio Romano che, dopo aver lasciato la carriera all’inizio degli anni Novanta, ha conosciuto una sorta di “second life”, una feconda stagione di editorialista, giornalista, opinionista e storico.
Chi ha studiato per il concorso dispone certamente della conoscenza di un gran numero di materie che consentono una lettura della realta’ sociale, politica, economica, culturale, ecc. di cui media desiderosi di fare informazione (e non intrattenimento) potrebbero utilmente avvantaggiarsi.
Se la preparazione da sola basti poi all’ingresso in una redazione giornalistica e’ pero’ un altro discorso.
L’insegnamento universitario costituisce un altro sbocco naturale e consueto.
L’attivita’ di consulenza e’ un altro esempio. Talvolta tale consulenza viene svolta a beneficio di imprese private (banche, gruppi industriali). Ma puo' anche essere svolta in proprio.
Non credo ci sia da scandalizzarsi se colleghi a fine carriera capitalizzino il bagaglio di conoscenze e entrature che hanno accumulato negli anni.
Ci si puo’ forse semmai rammaricare che il mondo degli affari peschi dalla diplomazia solo a fine carriera e non prima. Ma cio' dipende anche da alcuni vincoli strutturali che la P.A. si e' data.
Del resto l’esistenza di una porta girevole tra Wall Street e Washington e’ uno dei tratti caratteristici del sistema americano e forse uno dei suoi vantaggi competitivi.
L’osmosi tra il mondo degli affari e quello delle istituzioni (prese naturalmente le opportune precauzioni) e' mutualmente benefica, allargando le reciproche prospettive ed il bagaglio di conoscenza e esperienza di entrambe le parti.
Veniamo adesso alla prospettiva esterna alla professione, necessariamente piu' ampia.
Di persone cioe’ che vedono la complessita’ e la spiegano con semplicita’.
Una figura professionale del futuro sara’, secondo Friedman, quella del CIO che sta pero’ non per “Chief Information Officer”, ma per “Chief Integration Officer”. Qualcuno cioe’ che “unisca i puntini” .
Tale scenario, che si sta realizzando sotto i nostri occhi, esalta le qualita’ dei versatilisti.
Il versatilista, nelle parole di Friedman, “applies depth of skill to a progressively widening scope of situations and experiences, gaining new competencies, building relationships and assuming new roles”.
Come dice Friedman, il versatilista e’ una sorta di “coltellino svizzero” dai mille pratici usi.
Le qualita’ del versatilista infatti appaiono non dissimili da quelle del diplomatico o dall'aspirante tale.
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