
In questi giorni ho scambiato email con candidati che purtroppo non sono stati ammessi alle prove orali del concorso
Denominatore comune e' chiedersi se e' il caso di riprovare o meno il concorso dedicando un altro anno ad una prova difficile ed aleatoria senza aver ovviamente la certezza di superarla.
E' evidente che in questa prova, come in altre nella vita, non si puo' avere la preventiva certezza del risultato.
Una preoccupazione diffusa e' se l'investimento nella preparazione al concorso diplomatico e' riciclabile e spendibile in altri ambiti.
Non so. Confesso che quello in diplomazia e' stato l'unico
concorso che abbia mai provato.
Certo il bagaglio culturale necessario per affrontare il concorso diplomatico con ragionevoli possibilita' di successo e' vasto e dovrebbe consentire di avvicinarsi ad altri sbocchi professionali. Ma dico dovrebbe data l'attuale difficile situazione del mercato del lavoro italiano, soprattutto per i piu' giovani.
Il punto e' che il concorso diplomatico e' solo la prima tappa di un percorso che, se mi passate il gioco di parole, specializza alla generalita' o, come ho scritto, alla
versatilita'.
Per fare il diplomatico serve una predisposizione
olistica e molti talenti ma questi talenti - di per se' - non hanno niente di particolarmente esclusivo.
Bisogna saper scrivere come un bravo giornalista, sapere la storia, padroneggiare l'economia come un redattore del Sole 24 Ore, conoscere il cerimoniale e l'etichetta come Donna Letizia. E sapere esprimere questi talenti non solo in italiano ma almeno in un paio di lingue straniere.
E' pero' l'insieme di queste qualita' che e' difficilmente cumulabile e che costituisce la specialita' diplomatica, che e' una specialita' difficilmente raggiungibile.
E cio' vale sia per coloro che hanno gia' acquisito questa professionalita' e sono gia' in carriera, sia per quanti ambiscono ad entrarvi.
Come ho piu' volte scritto in questo blog ho superato il concorso al secondo tentativo. Onestamente non so se lo avrei provato una terza volta.
Un candidato che mi ha scritto e' figlio d'arte (la sua famiglia e' con successo in diplomazia da almeno due generazioni). Egli vive proprio il dilemma se ripresentarsi una terza volta. La diplomazia - che conosce da vicino come pochi per ragioni familiari - lo appassiona come nessuna altra prospettiva professionale.
Simpatizzo con la sua situazione che, pur nella sua difficolta', dimostra il "level playing field" che questo concorso garantisce a tutti i candidati, qualunque sia la loro estrazione.
A chi in questi giorni si lecca le ferite e pondera le mosse successive, dico che cio' che conta e' non fare del successo in questa prova la misura del proprio valore.
Il concorso diplomatico non deve essere una ossessione la cui mancata realizzazione mina la stima di se stessi, ma un obiettivo ragionato e ragionevole.
Se avete dato il meglio di voi non abbiate comunque rimpianti.