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Tale prerogativa e’ prevista soprattutto per difendere il blog dallo
spam e non me ne ero mai avvalso per rifiutare un commento. Fino a pochi giorni fa.
Nei giorni scorsi, infatti, ho moderato il commento, rifiutando la pubblicazione, di un anonimo lettore del blog. In sostanza ho effettuato un atto di
censura.
Il commento era riferito alla esperienza raccontata sul blog da parte di
Faber, una delle vincitrici dell’ultimo concorso ed esprimeva dubbi sui suoi effettivi meriti insinuando maliziosamente che fortuna (o altro) avessero contribuito al suo successo.
Inoltre, con riferimento al percorso di studi descritto dalla candidata, il commentatore dubitava che un ‘comune mortale’ potesse ambire all’esperienza di studio negli Stati Uniti, fatta invece da Faber.
Escludo che il commentatore conosca Faber e le circostanze che hanno condotto al suo successo nel concorso diplomatico.
Ho trovato il commento acido e ingeneroso e l’ho censurato. L'ho fatto con dispiacere perche’ quello della censura – anche in un ambito limitato come questo - e’ un potere scomodo.
L'ho fatto perche’ il commento denotava malizia e negativita’, una forma di inquinamento delle relazioni sociali che trovo perniciosa perche’ particolarmente contagiosa.
Sono di natura ottimista e trovo che i soli limiti che incontriamo nella vita sono quelli che consapevolmente o inconsapevolmente ci fissiamo.
Se cosi’ non fosse oggi starei probabilmente svolgendo la professione di mio padre, l’agronomo. Una via gia' tracciata e piu' comoda.
Quando mi ritrovo alle rimpatriate dei compagni di liceo noto che la maggior parte svolge la professione dei genitori. Il figlio del dentista e’ diventato dentista, quello di avvocati e’ diventato avvocato. E cosi’ via per notai, professori universitari, commercialisti, medici,ecc.
E’ forse solo una coincidenza. Il mio osservatorio e’ inevitabilmente ristretto e sarebbe azzardato trarre indicazioni generali. Se questa non fosse una coincidenza ma una vera e propria tendenza, si potrebbero trarre preoccupanti conclusioni sulla sclerotizzazione del tessuto sociale.
Come Faber, anche io preparando il concorso diplomatico mi scontrai con ondate di scetticismo. “Ma chi conosci alla Farnesina?”. " Non sei figlio d'arte". “In questi posti si entra solo per raccomandazione”. “E’ un concorso impossibile, devi studiare per anni senza sicurezza di passarlo”. Sono atteggiamenti evidentemente ancora diffusi perche' mi arrivano spesso email di studenti interessati al concorso diplomatico ma condizionati da questi
mantra negativi.
Credo che alla fine l’isolamento – direi quasi la clausura- che molti aspiranti diplomatici si impongono non e’ solo dettato dalla necessita’ di concentrarsi sui manuali ma da quella di sottrarsi ad una negativita' che mina la propria motivazione.
Una sorta di autodifesa.
Al fondo del ragionamento dell’anonimo commentatore e’ la convinzione che il successo degli altri sia addebitabile solo alla fortuna, se non all’intrigo, e non al duro impegno, alla programmazione sistematica e fortemente voluta di un traguardo.
La fortuna non esiste in un vuoto. Essa presuppone un intenso, metodico sforzo di preparazione. Dietro al successo c’e’ un impegno sistematico– invisibile ai piu’ - di anni. Tale impegno va rispettato e se possibile imitato.
Non voglio scomodare Machiavelli e la sue considerazioni su
Fortuna e Virtu’.
Piu’ semplicemente, un famoso golfista, Gary Player, era solito dire:
"The harder I try, the luckier I get”. O ancora il generale
Douglas Mac Arthur diceva che "la vita non da' certezze ma offre solo opportunita'".
La preparazione genera opportunita’. La fortuna puo’ solo aiutare chi si fa trovare preparato.
Pensare mal degli altri risulta dunque un modo per razionalizzare e giustificare il proprio fallimento o il proprio disimpegno.
(photo credit:
Andreia)